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Oggi Zehira era una puttana


di Ancuimhin
10.06.2024    |    1.517    |    0 7.3
"Melek lo raccolse dalle sue gote e lo scambiò col fiato del cliente..."
Era carne, sangue e calore. Le ginocchia poggiavano su cuscini di velluto, con caviglie e polsi legati dietro la schiena. Lacci di seta le correvano dal collo alle mani.
Oggi Zehira era una puttana.
Ieri era pittrice, o una matematica veneziana. Nei bordelli di Costantinopoli esistevano solo maschere e visi passeggeri. I clienti cercavano la più rara delle merci: la bugia di essere qualcuno.
Lei non era mai stata nessuno. Non aveva ricordi di case o bambole di legno intagliato. Erano molte le orfane abbandonate tra i vicoli ed i mercati della capitale Ottomana. Lei meno di altre, e più di altre, aveva avuto fortuna. Melek l'aveva accolta con sé, portata per mano tra i velluti e le candele. il corpo di un’orfana vicino a un bordello indispettiva i clienti. Non sempre in realtà, ma Melek non gestiva quel tipo di Casa.
Zehira non toccò uomo o donna prima che i capelli le raggiungessero le caviglie. I suoi primi insegnanti furono gli occhi e i ricordi di ciò che osservava in segreto. Quando gli Effendi del Sultano pagavano un sovrapprezzo, assisteva di persona.
Melek non aveva fretta, vedeva la mente di Zehira crescere ancor più delle sue morbide forme. L’erotismo nacque in lei prima nei gesti, e poi nel corpo. Imparò mille lingue e diventò mille persone. Imparò che ancor meglio di una bugia, doveva vendere la verità di una notte.
Melek offriva ai clienti suonatrici di Ud, flautiste e donne di scienza. Solo I raggi del mattino ed il richiamo del Muezzin bruciavano i panni di Zehira. Veneziani, Ottomani, Aragonesi non importava: più cercavano una donna della Casa la notte, più la fuggivano di giorno.
Oggi Zehira era una puttana.
Aveva il volto tirato verso l’alto, coi capelli neri sparsi lungo i capezzoli turgidi e la schiena arcuata. Le dita dei piedi erano scottate dalle candele in cera sul pavimento. Melek stava sul suo viso, le accarezzava gli occhi mentre le premeva il monte di venere sulla bocca. La lingua della giovane passava tra le labbra e risaliva verso il clitoride, unto di umori e oli profumati. Entrambe avevano un laccio di seta al collo, che da un gancio al soffitto passava in mano al cliente. Più Melek gemeva e si avvicinava all’orgasmo, più la corda veniva tirata e Zehira si fermava. Le dita dell’uomo avvolgevano i fianchi della più giovane, sussurrandole all’orecchio di farla venire.
Durante la nottata i ruoli delle donne si erano scambiati più volte, il trucco di una era sbavato dagli umori vaginali dell’altra. Non fingevano la loro eccitazione ne erano poco appassionate mentre si accarezzavano i capezzoli con le labbra. Tra le tende del bordello esisteva una legge non detta, insegnata coi gesti e la pratica. Le migliori bugie nascevano dalla verità.
Non c’erano limiti o confini, eccetto quelli richiesti dagli avventori. Spesso oltrepassare proibizioni fittizie era ciò che eccitava di più i clienti.
Zehira sapeva mordere il seno di una donna europea ed esserne la figlia, così come quella notte era figlia ed amante di Melek. Aveva esplorato il proprio corpo guardandola, indossandone gli abiti e imitando i suoi gesti. Fin dalla tenera età i rapporti nel bordello si mescolavano tra incesti e amicizia. Uomini e donne erano sorella, fratello o amanti dell’altro. Un filo comune li univa in un dedalo di erotismi ed affetti, che loro chiamavano amore.
Tanto più la loro famiglia dissacrava le leggi dei vari dei, più le monete scappavano dalle tasche di Rais o mercanti cristiani.
Il cliente lasciò la presa dal laccio di seta, avvicinandosi al corpo nudo di Zehira. Con una mano le strinse la gola, coprendo il solco della corda disegnato sul collo della giovane. Le inclinò il viso, verso l’alto, così che gli occhi delle donne potessero incontrarsi. Non ebbe bisogno di violenza, le due si stavano già aspettando. Melek era seduta di fronte a lei, sopra un piccolo tavolino all’altezza delle spalle di Zehira. La donna si toccò tra le gambe, senza abbandonare lo sguardo della ragazza. Con l’altra mano le accarezzava la nuca. Muoveva i propri fianchi al ritmo delle dita, mentre i piedi si arricciavano sul pavimento. Il cliente non lasciava la presa dal collo di Zehira. Le sussurrava all’orecchio, accarezzandone il corpo con la punta delle dita. Appoggiò il petto alla schiena della ragazza. Lentamente la penetrò, iniziando a masturbarla. La mano sulla gola soffocò i gemiti della giovane.
Non tutti i clienti cercavano le stesse cose. Non tutti i clienti avevano un unico volto. Il bordello offriva una maschera, ne finta, ne bugiarda. Era una bugia tanto quanto il volto indossato di giorno. Molti compravano una parte di sé a cui avevano rinunciato, pur di nascondersi nella coerenza. Quante vite bisognava abbandonare per viverne una soltanto?
Lui quella notte voleva essere un ladro. Ladro lo era da sempre, nascosto dalla cotta e la spada. Fu rubato dai giannizzeri all’età di otto anni, insieme ad altri del suo villaggio. Imparò la violenza prima delle parole, e le bugie presero il posto dei ricordi. Rubare la vita divenne il suo mondo, protetto dalle leggi del Sultano. Non gli era chiaro cosa fosse la felicità, ne pensava avesse il diritto di provarla. Crescendo al campo aveva imparato l’apatia e a vestirla coi panni militari. A differenza degli altri clienti, pagava per vedere e comprendere il loro amore. Aveva dormito con uomini, donne, ricoprendo il ruolo del bugiardo più di chi si faceva pagare. Voleva che le coppie si guardassero, gemessero assieme, e essere parte invisibile del loro piacere. Anche se Il rapporto che le legava gli sfuggiva, ne era morbosamente attratto.
I fianchi e le cosce delle due donne tremavano sempre più intensamente. La loro eccitazione rimbalzava tra sguardi e sorrisi, tessendo un arazzo che scavava nel ventre di entrambe.
La donna posò il pollice sulle labbra della ragazza, per poi portarla tra le sue gambe. Stretta dai fremiti dell’orgasmo, Zehira continuò a titillare finchè gli umori le bagnarono il viso e i capelli. Venne insieme a lei, scossa tra i tremiti e i lacci che le legavano le mani dietro la schiena. Una candela si spense. Melek scivolò dal tavolino, inginocchiandosi alla sua altezza. Risalì con la bocca dal collo fino alla lingua, ponendo il pene del cliente tra di loro. Si baciarono, strusciando la cappella tra la saliva e le labbra, così che gli umori sul viso di Zehira si unissero al seme dell’uomo. Melek lo raccolse dalle sue gote e lo scambiò col fiato del cliente.

Il giannizzero pagò all’ingresso le monete d’argento richieste per quella notte. Voltandosi, sbirciò tra le pieghe e gli scorci di velluto che lo avevano nascosto. Era buio, più di quando era entrato, e le candele illuminavano di miele i corpi nudi delle due donne. Melek puliva con un panno di lino il viso arrossato di Zehira.



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